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Finché amore non ci separi
Prima di iniziare a leggere “Se questo è un uomo” di Primo Levi occorre avere il coraggio di guardarsi allo specchio e dedicarsi ad una profonda riflessione su cosa siamo, cosa vogliamo, cosa ci manca per sentirci soddisfatti della vita.
Può sembrare banale, ma soffermatevi un attimo con attenzione: i primi capelli bianchi, qualche rotolino di ciccia, la pelle non abbronzata, qualche ruga che spunta. Oppure, il desiderio di un’auto nuova o della casa al mare. Di una vacanza, di una vita migliore, di una cena da sogno. Non spaventatevi: sono pensieri che tutti abbiamo fatto almeno una volta nella vita, perché ci sembra normale desiderare ciò che non si ha.
Ma la riflessione sta proprio in questo: che cosa è che si ha? Cosa è inalienabilmente in nostro possesso? Perché è in quel preciso istante che si stanno dando per scontati una serie di diritti acquisiti, fra cui la dignità, la libertà, l’umanità, la vita. Leggere il diario di Primo Levi mette di fronte ad uno scenario in cui nulla sembra normale.
La vita conosciuta , data per acquisita, è solo un vago ricordo. “Se questo è un uomo” è una lettura forte come un pugno nello stomaco: con un linguaggio semplice, l’autore ci trasporta nella realtà dei lagher nazisti in cui il concetto di umanità è obliato. Un non luogo in cui là brutalità e la barbarie sono il pane quotidiano. Un inferno dove le torture inflitte dalle S.S. ai deportati sono gli unici contatti umani possibili. Una realtà era un miracolo svegliarsi ancora vivi il giorno dopo. Un posto dove gli uomini e le donne sono ridotti a mera carne di macello, accumuli di pelle ed ossa che riflettono corpi scarni dilapidati da ogni volontà, occhi vacui alla ricerca di un modo per sopravvivere - o per lasciarsi morire perché le pene inflitte in questo inferno terrestre sono insopportabili. Corpi mutilati, anime violentate, speranze disintegrate: l’essere umano qui non esiste, è dimenticato da un mondo che finge di non sapere cosa accade nei campi di concentramento, uomini e donne che perdono tutto, anche se stessi.
Chi è riuscito a sopravvivere a questo oltraggio dell’umanità, come Primo Levi, ha portato le lacerazioni delle barbarie ricevute per tutta la vita. Strappi nel corpo e nell’anima che non si sono mai ricuciti. Ma è da qui che nasce la forza e il coraggio di raccontare al mondo cosa è successo. Senza lasciar correre. Perché dimenticare vuol dire essere complici di un passato che può sempre ritornare.