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Racconti Calviniani: Il Barone rampante

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Fra i molti titoli calviniani, forse il più felice e sorprendente è “Il Barone rampante” (disponibile su matacenalibri) che faceva parte della trilogia “I nostri antenati”. Il 15 giugno del 1767 (250 anni fa, esattamente) il ragazzetto Cosimo, dei Baroni Piovasco di Rondò, un bel giorno si rifiuta di mangiare un piatto di lumache servito alla nobiliare tavola di famiglia. Rimproverato aspramente, Cosimino abbandona la sala e se ne fugge via arrampicandosi su un alto albero del giardino. Lasciamogli sbollire la ribellione, pensa la famiglia, poi ridiscenderà. Invece Cosimo non scende. Anzi, non scenderà mai più, per tutta la vita. Il parco della villa dei baroni e i lussureggianti boschi della proprietà (vagamente situata sulla costa ligure sanremese, dove crebbe Calvino) sono cosi rigogliosi che Cosimo, balzando di ramo in ramo e di pianta in pianta, comincerà a vivere in alto. Ricaverà sedili, giacigli e capanni nel groviglio dei più poderosi rami, si lascerà dondolare da una cima all’altra come un Tarzan settecentesco, riuscirà a incontrare persone, ad amare donne, a interferire con la vita giù in basso. Ettari di terra boscosa e selvaggia permettono a Cosimo di viaggiare di ramo in ramo per chilometri, persino di accedere, stando sui rami abbassati, alle acque dei torrenti.

Per il cibo, sistemi di corde e altre trovate ingegnose varie permettono a Cosimo di nutrirsi, di vivere insomma una vita normale (se normale la si può chiamare). Diciamo che Italo Calvino, molto prima del “realismo magico” sudamericano di Marquez e di altri, aveva inventato 60 anni fa il suo filone “fiabesco reale”. La vicenda di Cosimo di Rondò rimasto una vita sugli alberi è molto improbabile, nella realtà: ma, a differenza delle “impossibili” storie del “Visconte dimezzato” e del “Cavaliere inesistente”, è una cosa tuttavia possibile, non ha niente di totalmente fantastico e irrealistico: qui sta la forza dell’invenzione di Calvino. Cosimo interloquirà con il mondo “di sotto” ma se ne resterà appollaiato sempre su, dove le cose sono viste in prospettiva diversa. Mi è sempre piaciuto pensare al “Barone rampante” come a una ipotesi narrativa cinematografica: con una cinepresa posta in basso a scrutare la figura balzante di Cosimo contro fogliame e cielo e un’altra a guardare le cose dall’alto, con il punto di vista eccentrico e relativizzante di Cosimo: un su e un giù alternativo. Il racconto è venato di ambientazioni e citazioni illuministiche (il respiro del Settecento europeo alita anche sui boschi dei Rondò) e la storia è pretesto per combinare immaginazione narrativa e affresco storico e civile. Qui Calvino riesce a mettere comunque insieme tensione narrativa, trama appassionante, ricchezza di linguaggio e abile tessitura di emozioni e riflessioni. Un bel romanzo italiano del ‘900.

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