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Volevo essere una farfalla

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Anoressia. Suscita paura, imbarazzo, pietà. Spesso anche rabbia e disprezzo. Ma cosa si nasconde esattamente dietro questa parola? Forse proprio un bel niente. O meglio, si, tante cose, ma tutte diverse tra loro; tante persone, tutte diverse tra loro; tante storie, tutte diverse tra loro. In “Volevo essere una farfalla” (disponibile su Matacenalibri) Michela Marzano ci racconta la sua. Che non è la cronaca di una malattia da cui sia guarita per diventare un’altra persona, bensì la testimonianza di un cammino che, proprio attraverso la sofferenza, riesce a poco a poco a trovare la strada davanti a sé, senza lasciarsi mai indietro le vecchie ferite. Perché dalla sofferenza non si guarisce: fa parte della vita, e si può solo imparare a farsene carico, accettandola per quello che è. Si può imparare ad accoglierla dentro di sé, per non permetterle d’invadere l’intero spazio dell’esistenza. Si può capire che dal “peso” della vita è impossibile liberarsi, perché è ciò che ci sostiene e ci ancora alla terra. E allora, nonostante il peso, si può perfino arrivare a sentirsi un po’ più leggeri. Che però non significa aver risolto tutti i problemi. Significa, semmai, che si può cominciare ad affrontarli. A guardarli in faccia. A non fuggirli. A smettere di nascondersi dietro un sintomo con cui si vorrebbe semplicemente negarli, far finta che non esistano, scrollarsene il peso di dosso. E iniziare a credere che questo peso, in fondo, si può sopportare. Sopportare, non eliminare. Perché la vita è fatta anche di doveri, impegni, delusioni, fallimenti, imprevisti. Perché non siamo nate farfalle. Perché anche quando abbiamo delle splendide ali e tanta voglia di volare alto, la forza di gravità è sempre li, pronta a riprenderci, a trascinarci verso il basso, a farci cadere. Allora non arriverà mai il momento in cui non correremo più il rischio di cadere, ma arriverà forse quello in cui, a forza di cadere, scopriremo che poi tanto ci si rialza sempre. Che possiamo contare sulle nostre forze. Che è inutile sperare che non succeda più. Che abbiamo imparato molto perché, come suggerisce il sottotitolo, la sofferenza c’insegna a vivere. Quello del “prima” e del “dopo”, della “malattia” e della “guarigione” è uno dei tanti miti sull’anoressia che la Marzano, oggi docente di Filosofia Morale all’università Descartes di Parigi, ci aiuta a decostruire. Ci voleva, finalmente, la penna di una filosofa a confrontarsi in prima persona con un tema che attrae su di sé tanti luoghi comuni e che perfino “gli esperti” tendono a banalizzare, forzandolo in schemi generali che certo non possono valere per tutti i casi e che, soprattutto, spesso non vogliono dire niente proprio per nessuno. L’amore edipico per il padre, l’identificazione simbiotica con la madre, l’implicita richiesta di attenzione del corpo anoressico e altre teorie e convinzioni diffuse entrano nel libro della Marzano solo di sfuggita o in chiave polemica: parlandoci di sé, scavandosi dentro, trovando le parole per esprimere l’inesprimibile, l’autrice non pretende di trasmetterci nessuna verità, non intende dimostrare una tesi, e, anzi, non vuole spiegarci proprio nulla. Forse perché, da buona filosofa, sa che di verità non ce n’è mai una sola, e che un vissuto non si può spiegare, ma solo com-prendere: prenderlo con sé, farlo proprio, attraversarlo. Con “Volevo essere una farfalla” ci conduce per mano attraverso il suo vissuto, scoprendo le proprie fragilità in un grido di dolore che è al contempo un inno alla vita e a tutto ciò che la rende preziosa. A partire dalla sua complessità, dai suoi strappi, dalle sue più intime contraddizioni. Che fanno abitare la passione nell’apatia, la forza nella debolezza, il pieno nel vuoto, la fame nel rifiuto del cibo. L’infinito bisogno d’amore in una totale rinuncia. L’immenso desiderio di esserci in un gesto suicida. La Marzano non ha paura degli ossimori e detesta le semplificazioni. Non le interessa seguire un filo logico, ma essere fedele a sé stessa, alla propria esperienza, e quindi anche al lettore. Alternando pensieri e ricordi, la scrittura scivola rapida, restituendoci con intensità e brillantezza le sfumature più sottili di un’anima inquieta ed inabissandosi con disinvoltura nei meandri più profondi. Pagina dopo pagina, ci travolge, ci appassiona, ci spinge a interrogarci, fa vacillare ogni nostra certezza.

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