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"Produciamo troppi libri", elogio alla selettività

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L'inchiesta sul settore editoriale lanciata dal quotidiano torinese "La Stampa" sta producendo notevoli spunti di discussione inerenti al settore editoriale. Ultima in ordine di tempo quella di Stefano Mauri, leader del gruppo Gems che riunisce ben 16 case editrici: "Stampiamo troppi libri". 

70mila nuovi libri all'anno

Ogni anno in Italia si sfornano 70mila nuovi titoli. Un numero elevato ma comunque inferiore a quello di altri Paesi. La varietà e vastità della scelta non coincide però - secondo Mauri - con politiche relative alla qualità dell'opera prodotta. "Sovrapproduzione fisiologica" la etichetta il manager, snocciolando i dati dell'intera produzione Europea e senza quindi tenere conto dell'altra enorme mole di volumi che arriva dal mercato statunitense in un mercato ormai globalizzato.

Invertire la rotta? No grazie

Volendo citare un sempre attuale Massimo Troisi in "Le Vie del Signore sono Finite", il compianto attore napoletano rivolgendosi a Massimo Bonetti spiegava perché lui non era un assiduo lettore: "Io sono uno a leggere, loro sono milioni a scrivere".

Rispetto all'80 la situazione è ancora "peggiore", se vogliamo usare questo termine. "Se da una parte - spiega Mauri alla Stampa - il mercato non cresce, e dunque ci si dovrebbe aspettare una riduzione di risorse e quindi di titoli nuovi, dall’altra il digitale moltiplica le fonti di ricerca per gli editori, le nicchie e i canali, rende possibili tirature più limitate e attraverso i motori di ricerca e l’e-commerce, grazie al fatto che il nostro settore ha una antica tradizione di catalogazione, rende facilmente accessibili tutti i titoli". Insomma, il caso editoriale potrebbe arrivare da qualsiasi canale, e i 10 milioni di copie venduti da After (nata su Wattpad) ne sono la dimostrazione.

La guerra ad Amazon? Non esiste

"In linea di massima un editore non ha ragioni a priori per essere in guerra con Amazon, che è suo cliente", chiosa Mauri affermando una sacrosanta verità. E smorzando quella facile convinzione comune che la crisi del settore editoriale sia legata principalmente al web. 

 

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